Eccola lì, a fianco a te. E’ la prima notte che dormite insieme e sei felice, forse giusto solo un po’ inquieto, perché sei abituato a dormire da solo e hai paura di svegliarla con qualche movimento: quando sei da solo rotoli nel letto come un maiale nel fango e adesso devi invece stare fermo. Oddio, a dir la verità lei non dà l’impressione di potersi svegliare tanto facilmente, a dirla tutta non dà l’impressione di potersi svegliare proprio mai, nemmeno se entrassero in camera i Led Zeppelin a fare una jam session, perché sembra incarnare quel diffusissimo prototipo di donna che durante il giorno è irrequieta e problematica, ma appena appoggia la testa su un cuscino, foss’anche posizionato tra i coccodrilli delle Everglades, si addormenta come un bue muschiato dopo il pranzo di Natale (e allora ti vengono anche dei sospetti sull’autenticità della sua diurna irrequietezza).
E mentre sei lì fermo che rifletti su queste cose, la tua pancia, improvvisamente, si tende come un tamburo, dentro si muove qualcosa e quasi sicuramente non è Alien: che fare?
Un’ipotesi è quella di espellere un po’ di aria alla volta a bassissima frequenza, come quel tipo che rilascia piccole manciate di ghiaia nel cortile del carcere e poi si scopre che nella sua cella ha scavato un tunnel a quattro corsie. Ma se l’odore è troppo acre, al primo movimento di lenzuola vi ritrovano entrambi stecchiti, e allora a quel punto sarebbe stato meglio aver acceso il gas a inizio serata e averla fatta finita sprofondati nello stordimento con un leggero rossore sulle guance.
No. La risolutezza vuole che tu vada in bagno. Quindi esci dal letto di soppiatto, scivoli fuori come una manta, ma lei, impercettibilmente, pur non accorgendosi di null’altro, riemerge per un secondo dalle Everglades e di quello se ne accorge. A quel punto ti trovi in bagno e se questo è confinante con la camera da letto sai che lei, consciamente o inconsciamente, ti starà ascoltando. Un altro bivio, mentre il sudore ti imperla la fronte: che fare?
Un’ipotesi è quella di accendere il rubinetto per quindici minuti di fila, consumando un quantitativo d’acqua pari a ventiquattr’ore delle Cascate del Niagara, ma siccome un rubinetto acceso per quindici minuti non ha alcuna spiegazione a meno che tu non abbia sei mesi e un pannolino da cambiare oppure non ti abbia preso un’ingiustificabile voglia di raderti nel bel mezzo della notte, quella sarebbe in sostanza una chiara
ammissione di colpa. Tanto valeva, quando prima ti sei alzato dal letto, accendere la luce, svegliarla con uno strattone e dirle seccamente: “Ehi bella, io vado a cagare.”
No. Ancora una volta, risolutezza e rischio, semplicemente procedi. E ovviamente va tutto storto: quando speri che l’aria espulsa non si faccia sentire, ecco che nemmeno il rumore che precede una valanga sull’Annapurna
sarebbe equiparabile; quando poi speri che l’espulsione dell’Alien non faccia rumore perché il tuo water è fatto in modo tale che mai si senta rumore di caduta, ebbene quel water si premura per l’occasione di cambiare struttura
molecolare e morfologia complessiva, e se lanciassi un palla di piombo da demolizioni in una piscina olimpionica, faresti sempre meno casino.
Al tuo ritorno a letto, lei, con notevole spirito deontologico, fa finta di continuare a dormire, ma ti ha sentito: lo sai tu, lo sa lei, e lo sa il mondo intero.
A colazione la mattina dopo, sempre con grande onestà intellettuale, lei farà ancora finta di nulla, ma ciò che ha udito quella notte resterà una piccola crepa scolpita nella sua anima. Sarebbe molto meglio che lei uscisse subito dall’ipocrisia ed esorcizzasse l’evento, per poi, le notti successive (se mai ce ne saranno, a questo punto), permetterti ogni tipo di sfogo corporeo senza ritegno alcuno. Dovrebbe quindi prendere la brioche, alzarla cinquanta centimetri sopra il cappuccino e farcela cadere dentro con grande fragore: “Tutto bene stanotte?”
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