Gli avvocati, al contrario di quanto si pensi, guadagnano poco.
Certo, sicuramente ci sono alcuni avvocati che, soprattutto nel passato, hanno guadagnato molto denaro e, grazie al prestigio che si sono costruiti attraverso una lunga carriera e di cui quindi tuttora godono, possono ancora permettersi di inviare ai clienti parcelle molto alte senza vedersele rispedite indietro avvolte attorno a una testa di cavallo mozzata. Ci sono anche alcuni avvocati della vecchia scuola che hanno brillantemente spolpato società, banche e pubbliche amministrazioni che si sono brillantemente lasciate spolpare, e adesso quelle società sono fallite, quelle banche sono in procinto di farlo e quelle pubbliche amministrazioni sono esplose.
Se però prendiamo come esempio un avvocato intorno ai 35/40 anni, possiamo constatare che costui guadagna meno di un carrozziere.
A ben vedere forse ho sbagliato esempio, perché è risaputo che i carrozzieri sono una delle categorie maggiormente benestanti della società attuale e la loro manodopera ha lo stesso valore di quella prestata da un neurochirurgo laureatosi ad Harvard («Scusi signor carrozziere, ho un piccolo problema: mi si è lievemente rigato
lo specchietto retrovisore». «Ah mi spiace, ma per rimediare bisogna sostituire tutta la fiancata e cambiare tutti i pistoni. Sono tre ore di lavoro, quindi 7.000 euro»). Comunque ci siamo capiti.
Un avvocato con 10/15 anni di carriera guadagna, se gli va bene, il minimo per vivere di poco sopra la soglia della povertà. Un neoavvocato invece non guadagna niente (a meno che non vada a fare il manovale in qualche grande studio, ma quello è un altro lavoro).
In sostanza, considerando anche i due anni di pratica e l’anno lungo il quale, di fatto, si distribuisce la preparazione per l’esame, un avvocato comincia a vedere qualche somma che abbia una dignità superiore a un rimborso spese dopo circa 6/7 anni dalla laurea. O meglio, così era quando ho iniziato io la professione (laurea nel 2001, titolo di avvocato nel 2005), adesso è molto peggio.
E qui si ripropone il solito problema: quando snocciolo queste cifre ai miei giovani amici neolaureati che si erano già raffigurati a sfrecciare con una Lamborghini Diablo dopo un mese di pratica forense, questi sgranano gli occhi. Li vedo che pensano: “Ma come, e i film? E Ally McBeal che è sempre a bere drink indossando vestiti firmati? E i protagonisti dei libri di John Grisham che hanno yacht e attici a Manhattan?”.
Cari giovani amici, ormai dovreste averlo capito… La risposta è che tutto questo non esiste. Levatevelo per sempre dalla testa.
Anche perché, quando un bel giorno confezionerete la vostra fantastica parcella, nella maggior parte dei casi vi troverete ad aver a che fare con il grande genio dei nostri tempi, ovvero il cliente che le parcelle, semplicemente, non le paga.
Una tale propensione nasce dall’insieme di più fattori. Un approccio catulliano verso l’avvocato, alla odi et amo, e cioè il disperato bisogno che induce il cliente a recarvisi, frammisto alla contemporanea convinzione di venire fregati dall’avvocato medesimo, pur così anelato. Un radicato pensiero comune secondo cui gli avvocati sono benestanti per il solo fatto di possedere questo titolo, una ricchezza in re ipsa, che induce questa tipologia di clienti a ritenere che non sarà certo il mancato pagamento della loro parcella a creare problemi economici all’avvocato (ve lo dico io da queste righe una volta per tutte, così superiamo questo equivoco: noi viviamo delle parcelle che ci pagate, quello è il nostro lavoro, la sera non stiriamo le camicie altrui per arrotondare!). In ultimo la tendenza a paragonare l’attività dell’avvocato a quella, per esempio, di un ferramenta: «Eh, ferramenta, mi ha solo fatto la copia di tre chiavi e mi chiede così tanto?» equivarrebbe a «Eh, avvocato, ha scritto solo tre lettere e mi chiede così tanto?».
Ora, a parte che il ferramenta, se non lo paghi, ti rincorre con un rastrello, a parte che quelle tre lettere probabilmente saranno state precedute da lunghi incontri con il cliente e da migliaia di telefonate e da svariati pareri orali ‒ che in quanto orali sono scomparsi con leggerezza dalla memoria di questi clienti e dall’idea di cottimo professionale che essi hanno ‒ ebbene, a parte tutto questo, ci si dimentica sempre che per essere in grado di scrivere quelle tre lettere ogni avvocato ha studiato per almeno sette anni della sua vita, e quindi la professionalità ha un costo. Altrimenti non si capirebbe neanche il motivo per cui questi clienti non abbiano provveduto da soli a scrivere le lettere in questione.
Va peraltro detto che la parcella può avere una sua funzione purificatrice. Il rimedio migliore che ha un avvocato per allentare la pressione esercitata da un cliente troppo fastidioso è mandargli la parcella. È come tirare un gavettone in mezzo a un branco di gatti. In un attimo finiscono le telefonate, le lamentele, le pretese, e l’avvocato avverte quasi un senso di improvvisa solitudine, ché intimamente e morbosamente già gli manca quel cliente puntiglioso.
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