- Unico punto all’ordine del giorno: quante volte ci si può innamorare nella vita?
- Se la risposta è Once, come il film, sei fregato amico mio… - gli sospirai contro.
- Il fatto è che io non credo a quelli che si innamorano continuamente. Finita una storia importante, bum!, subito un’altra. Hanno sempre la persona giusta dietro l’angolo. Una sequenza ininterrotta di persone giuste e angoli dietro cui trovarle.
- Mi sembra che generalizzi un po’ troppo, bisognerebbe conoscere le storie di ognuno, - provai a ribattere.
- Proprio tu parli di generalizzare? Tu che scrivi quei tuoi ritratti definitivi sulle persone?
- Ma sì, - agitai una mano davanti al viso per scacciare quell’attacco, come si farebbe con una mosca insistente - quando si scrive si va giù dritti, per catturare l’attenzione. Ovviamente la realtà è un’altra cosa, ha le sue sfumature…
- Ritorna in scena la devastante razionalità del nostro amico Alessandro Testi, che non ammette feriti sul campo di battaglia! - si intromise Pippo a mio sostegno. - Tu, nella vita, lasci mai che gli eventi scorrano, senza per forza metterci sopra il cappello di qualcosa? Non puoi provare a prendere quello che viene, a lasciarti andare, e i conti li farai alla fine?
- L’ho già fatto e guarda com’è finita. Dico solo che ora faccio una feroce selezione all’ingresso: entra solo chi per me se lo merita, ma una volta dentro, ci resta, caschi il mondo. Mentre alcune persone, soprattutto donne…
- E ti pareva, - commentò Pippo, alzando platealmente gli occhi al cielo.
- … soprattutto donne, fanno entrare chiunque. Avanti, open bar! Poi si accorgono di essersi sbagliate, che lui non va bene, che si sono rovinate la vita con quello sbagliato, e allora lo accompagnano alla porta senza tanti complimenti. Cari miei, - indugiò in una pausa scenica, forse dovuta, anche nel suo caso, alla birra che contemporaneamente scendeva e saliva - le donne, quando ci fanno entrare nella loro vita, ci stanno mentendo.
Davanti a quel pronunciamento, posai piano il bicchiere sul tavolo e, nel mio caso certamente a causa della birra, cominciai ad intonare sottovoce, con la voce impostata di Cesare Cremonini, volgendo lo sguardo prima ad Ale e poi, cercando un complice, a Pippo: - Ci prendiamo una cotta per la prima disonesta…
Pippo non si fece pregare e continuò, alzando il volume di una tacca: - …complichiamo i rapporti come grandi cruciverba…
Io: - …e tu mi chiedi: perchééé?
Sul “perché”, ormai detonato a tutta voce, per l’ennesima volta durante i nostri consessi attirammo le attenzioni dei vicini, e pure dei nostri figli che si destarono dalle palline diseducative e si riavvicinarono a noi, non so se più divertiti o spaventati.
Ormai in trance agonistica, io e Filippo ci alzammo dagli sgabelli e ci piazzammo davanti ad Alessandro, attonito e rassegnato allo stesso tempo (sono quasi certo che sibilò tra i denti anche un “teste di cazzo”), continuando a cantare insieme, agganciati per le spalle e rinfrancati dalla nostra ebbrezza: - Sai quanta gente sorride alla vita e se la canta aspettando il domani, e intanto i giorni che passano accanto li vedi partire come treni che non hanno i binari,- tono più grave guardandoci in faccia - eppure vanno in orario, - ripresa più alta con il mento e la voce sparati al cielo - e quanti inutili scemi per strada o su Facebook che si credono geni, ma parlano a caso…
Qui Filippo si staccò da me e afferrò Matilde per farla ballare con sé, in una versione rallentata, più vicina al valzer, della girandola di Jack e Rose in Titanic. Continuò comunque a cantare: - Mentre noi ci lasciamo di notte, piangiamo e poi dormiamo coi cani…
Lo stesso feci allora io con Arturo. - Mentre noi ci lasciamo di notte, piangiamo e poi dormiamo coi cani, mentre noi ci lasciamo di notte, piangiamo e poi dormiamo coi cani…
I bambini ora ridevano apertamente, sinceramente sorpresi da questi adulti ebbri.
Pippo interruppe la sua danza e si inginocchiò di fronte a Matilde, i cui lunghi capelli le si erano sparpagliati dappertutto, sul viso e sulle spalle, prendendole una mano a mo’ di promessa nuziale. - Ti sei accorta anche tu, che siamo tutti più soli?
Io invece presi in braccio Arturo (ignorando il piccolo ‘cric’ sulla schiena, che probabilmente avrei pagato il giorno dopo e i giorni a venire), continuando a cantare al suo viso accaldato e paonazzo (se Sofia avesse visto la scena, sarebbe immediatamente tornata dall’avvocato per ottenere qualche forma di restrizione del mio diritto di visita). - Tutti col numero dieci sulla schiena, e poi sbagliamo i rigori…
Pippo: - Ti sei accorta anche tu, che in questo mondo di eroi…
Si alzò in piedi e si voltò verso di me, poi entrambi fissammo Ale, che avrebbe voluto nascondersi nel bicchiere. Pippo gli puntò pure l’indice contro: - …nessuno vuole essere Robin.
Dopo qualche istante di silenzio, nel momento stesso in cui i restanti visitatori di nazionalità varia ebbero contezza della fine della nostra performance, scattò spontaneo, un po’ come successo in aeroporto per la gara di carrozzelle, un fragoroso applauso, le loro pinte innalzate al cielo in segno di apprezzamento. D’altronde stiamo parlando di un Paese in cui è fiera usanza cominciare a bere birra alle undici della mattina, quando noi stiamo ancora bevendo i cappuccini: che effetto avrebbero mai potuto fare due uomini di mezza età impegnati a cantare a squarciagola in luogo pubblico e a ballare scomposti insieme a due minori?
Io e Pippo facemmo un inchino alla sala e, soddisfatti, ordinammo un altro giro di birre, più che meritato.