Un'ottima annata

Che quella della Clivense non sarebbe stata un’esperienza ordinaria avrei dovuto capirlo quando, alla presentazione della squadra appena iscrittasi al Campionato di Terza Categoria (ovvero l’ultima e meno prestigiosa delle categorie del calcio), mi è stato consegnato un atto di citazione da 60 pagine, fresco fresco di notifica alla società all’interno di una graziosa busta verde.

Verona è sempre un po’ così: aldilà del giusto campanilismo calcistico, che ci sta, tuttavia, più in generale, quando fai qualcosa che spicca per coraggio, rischio e passione, più che essere sostenuto solitamente vieni deriso, valutato con sospetto, se non propriamente attaccato. La mia città è costituita da piccole parrocchiette che mal vedono i grandi progetti: per citare il Frank Sinatra scaligero, ovvero Umberto Smaila, “senza un gemito la provincia moriva al bar, paura di volar”.

E questo progetto è nato senz’altro in grande, ma all’inizio solo nella testa dei suoi fondatori, che definire visionari è riduttivo: Sergio Pellissier, tra i più prolifici attaccanti del campionato di Serie A (oltre 100 gol) e storica bandiera del Chievo, ed Enzo Zanin, ex-portiere e altrettanto storico dirigente del Chievo. L’attaccante si lancia in avanti, il portiere richiama all’ordine.

Ci aggiungo altre due persone: Riccardo Allegretti, il Mister, allora allenatore della Primavera del Monza acquistato da Berlusconi, che dunque ha lasciato gli elicotteri di Silvio per ritrovarsi costretto a diventare automunito, e mio fratello Giulio, che quando si tratta di essere visionari se la gioca con Elon Musk dopo che ha bevuto quattro Red Bull.

Di quel progetto nato nella testa dei fondatori e buttato giù in una stanzetta di Via Torricelli nell’agosto 2021, in sequenza, questa è la sintesi di quello che è stato realizzato nell’arco di neanche due anni: la squadra viene formata tramite un appello su Instagram (ai provini si presentano decine di giocatori da tutta Italia); vince tutto a livello di Terza Categoria; nel frattempo viene lanciata una campagna di crowdfunding che raccoglie oltre 700.000 euro tramite circa 700 soci e che permette l’acquisto di una società nel Campionato di Eccellenza; l’acquisto avviene a metà luglio e la nuova squadra viene costruita in due settimane, con un allenatore, l’automunito Allegretti di cui sopra, esordiente per la categoria; la Clivense vince il Campionato di Eccellenza con sette punti sulla seconda e vola in Serie D. Miglior attacco e miglior difesa del girone.

Questa la fredda cronaca di un progetto unico nel calcio italiano, che, almeno al momento (ma le porte sono aperte, eh!), non annovera alcun imprenditore di peso a sostenere la società, bensì una partecipazione diffusa di tifosi, sostenitori, simpatizzanti, o anche solo piccoli investitori che ci vedono un possibile guadagno. Ma la cosa veramente eccezionale che ho potuto appurare sul campo (gioco di parole abbastanza banale, ma è proprio il caso di dirlo) e in parte anche sulla mia pelle, è stata la straordinarietà dell’impresa sportiva di riuscire a vincere il Campionato di Eccellenza al primo tentativo: l’Eccellenza è una palude, una tonnara in cui sguazza di tutto, dal giocatore di classe allo scarpone senza pietà, dal giovane di belle speranze al ragazzino che ti tocca far giocare per forza perché così prevede il regolamento, dall’esperto allenatore volpone al neofita, dall’arbitro capace a quello che pare avere sfogliato velocemente il regolamento di gioco dieci minuti prima del calcio d’inizio eppure si sente Zeus, dal presidente che intravvede torbidi complotti arbitrali tra le nebbie del Nordest a quello che mantiene la compostezza e la lucidità, dalla società con novant’anni di storia a quella che non ne ha nemmeno due.

Il simbolo dell’imprevedibilità di questa stagione lo potrei cristallizzare in una singola azione di gioco, quella di una avversaria della Clivense proveniente dall’Alto Vicentino, quando, sotto una pioggia battente che aveva reso il campo proprio quella palude che, metaforicamente, è lo stesso campionato di Eccellenza, la loro ala destra (il cui cognome sarà stato qualcosa come Marcazzan) crossava al loro centravanti (alto più o meno 1.55 e il cui cognome sarà stato qualcosa come Brustolon), e questi staccava dal fango per colpire la palla in rovesciata volante alla Pelè, insaccandola a fil di palo. Ecco, è stato vedendo il più bel gol degli ultimi quarantacinque anni, che verrà tramandato di padre in figlio davanti agli spiedi di quaglie arrostite sui falò nell’Alto Vicentino ma di cui a livello nazionale non si saprà mai nulla, che ho capito che vincere questo campionato sarebbe stata un’impresa.

Per darvi una pietra di paragone: su Disney+ potete trovare una serie che narra le vicende del Wrexham, una squadra gallese che milita(va) in una categoria equivalente a quella della Clivense, acquistata da due star di Hollywood (uno è Ryan Reynolds, l’attore che ha interpretato “Deadpool”), i quali ci hanno investito qualche milione di dollari per giocarsi la promozione. Ma la squadra non è riuscita a essere promossa al primo anno, ce l’ha fatta, soffrendo, solo al secondo.

E pure a me, nel corso di questa stagione, al pari della squadra, è capitato un po’ di tutto: tra gli altri avvenimenti (mi sono anche ritrovato seduto all’interno di un ufficetto federale situato dentro lo Stadio Bentegodi, esattamente sotto la Curva Sud con vista sul campo, io che pensavo che lì sotto si aggirassero solo ultras sbronzi pronti a menare le mani, non certo che vi fossero uffici federali senza nemmeno un bar e la possibilità di bere un Verdone), sono arrivato persino davanti al Collegio di Garanzia del CONI, la Corte di Cassazione dello Sport, appena dopo la discussione sulla penalizzazione della Juventus (dopo di che ci siamo presentati trionfalmente noi a discutere di un rigore annullato). Quello davanti al Collegio di Garanzia è un tipo di procedimento che, ad un avvocato che si occupa esclusivamente di diritto sportivo (e non è il mio caso), potrebbe anche non capitare mai in tutta la carriera, ma in questa vicenda unica a me è capitato subito. Con l’auspicio quindi, l’anno prossimo, di arrivare davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per un giocatore espulso che non esce dal campo.

Insomma, tutto questo pistolotto per dire che cosa? Nulla, se non rendere omaggio alle persone che provano a rendere reali anche le visioni più ardite e che portano con sé i sogni come fedeli compagni di viaggio. Il tutto puntellato dall’assunzione di numerose birre per festeggiare le vittorie: come mi ha insegnato Enzo, nel calcio come nella vita le vittorie vanno sempre festeggiate, ai bei momenti bisogna sempre farci caso perché del domani non sappiamo nulla e potrebbero aspettarci quelli più brutti. E durante questi, le birre servono allora a risollevarsi (da tutto ciò traspare anche una punta di alcolismo, direte voi, e non mi sento di darvi torto).

E quindi, di quest’ottima annata, che ci farà ricordare la Clivense del 2022/2023 come un Amarone del 1997, quello che resta non è soltanto l’esito, né quello che ci potrà riservare il futuro, incerto per definizione, ma è la lezione di averci provato alla grande.

Alberto Fezzi