La parabola del rinoceronte incazzato

Mentre parlavamo, avevamo superato il recinto delle forse-antilopi e ci trovavamo ora in quello del rinoceronte. Non c’erano dubbi: quello davanti a noi era sicuramente il rinoceronte. Probabilmente era il fratello di quello abbattuto nelle vigne del vicino, perché sembrava particolarmente incazzato (oddio, questo non so affermarlo con certezza, diciamo che i tratti somatici del viso di un rinoceronte non trasmettono serenità, che poi sia per incazzatura o solo perché il suo viso è proprio fatto così un giorno me lo farò spiegare da qualche documentario trombone del National Geographic).

Si era messo esattamente di fronte alla nostra auto e ci puntava, avanzando lentamente. Ricordo di aver visto in un documentario - questo sì me lo avevano già spiegato quelli del National Geographic - che il rinoceronte utilizza come tecnica difensiva l’attacco, e cioè una carica ai 40 chilometri all’ora contro il presunto aggressore. Questa tecnica è del tutto controproducente contro chi imbraccia un fucile, che sia un cacciatore o un proprietario di vigne confinanti con lo Zoo Safari, ma è del tutto efficace contro due ex fidanzati disarmati seduti in una piccola decapottabile di fronte al bestione.

- Secondo te cosa dobbiamo fare, Lu? Dobbiamo restare fermi immobili? - mi chiese Giorgia impietrita, tirando la bocca per non fare troppi movimenti.

- Non credo, non è mica uno squalo.

- Allora cosa facciamo? Adesso questo ci sale sul cofano.

Era spaventata e allora presi in mano io la situazione.

- Non facciamoci prendere dal panico. Intanto faccio un po’ di retromarcia, così capisce che non vogliamo fargli niente.

Mentre indietreggiavo, aprii un finestrino, tirai fuori la testa e urlai, cercando di riassicurare il nostro amico perissodattilo (stavolta vi ho fregato, eh, tromboni del National Geographic …).

- Ehi, tutto a posto? Non vogliamo farti niente, stavamo parlando dei fatti nostri! Scusa se siamo venuti a farlo qui da te! Pensa che questa si è presentata dopo otto anni a chiedermi di ritornare insieme a lei! Dopo che per otto anni è stata insieme al goffo Carlo! Pensa te, Rino!

Giorgia mi guardò scandalizzata.

- Ma cosa fai, cretino? L’uomo che sussurra ai rinoceronti?!

- Guarda che sono sicuro che lui conosce Carlo, non vedi che ha un grande corno sulla testa?

- Quello semmai dovresti avercelo tu … - disse lei, volgendo in basso lo sguardo e producendosi in un sorrisetto sghembo.

Sapeva persino trasformare il dolore in riso, maledetta Re Mida (anche se sembravano emergere particolari inquietanti dalla scena del crimine del nostro addio).

In quel momento un inserviente del parco che non avevamo visto sbucò da dietro un albero, munito di uno spazzolone con cui stava pulendo i residui dei pranzi padani del rinoceronte a base di tortellini e arrosto, e, toccandolo delicatamente su un lato con lo spazzolone, riuscì a deviarlo verso un laghetto lì vicino.

- Potete proseguire, romanticoni! - ci gridò con scherno lo spalamerda, che evidentemente aveva sentito tutto.

- Grazie! E buon lavoro! - gli risposi, cercando di essere scortese.

(da Le Addizioni Femminili)

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Alberto Fezzi